Le emoji servono per esprimere le nostre emozioni, i gesti, citare i cibi preferiti e gli oggetti che utilizziamo quotidianamente. Sono uno strumento di sintesi fondamentale che si affiancano alle parole indispensabile per aiutarci ad esprimere meglio. Secondo le statistiche pubblicate da WorldEmojiDay.com, sarebbero circa 900 milioni le emoji scambiate ogni giorno su Facebook Messenger: un numero che, sommandolo alle conversazioni scambiate tramite WhatsApp e altre piattaforme, tende sicuramente a crescere e superare abbondantemente il miliardo. Ogni anno se ne aggiungono di nuove, sempre più esplicite o inclusive. Eppure proprio sull’inclusività c’è ancora da lavorare.
Adobe pubblica il Global Emoji Diversity & Inclusion Report, basato su 7000 persone provenienti da sette Paesi differenti, che pone l’attenzione sulle emoji e come vengono utilizzate per esprimere la propria identità nonché le diversità e l’inclusione. Secondo il report, il 54% del campione ritiene che la propria identità sia correttamente rappresentata dalle emoji ma c’è ancora chi sostiene ci siano alcune lacune da colmare: ad esempio, meno della metà delle persone con disabilità si sente rappresentata dalle emoticon e alcuni di loro preferirebbero che i simboli includessero più «oggetti utili» oltre quelli già introdotti in passato, tra cui gli ausili per l’udito, il bastone o la sedia a rotelle.
C’è una tendenza comune tra gli intervistati: l’83% del campione considera opportuno che le emoji diventino più inclusive soprattutto per la rappresentazione della cultura, dell’età e del gruppo etnico. Il 76% è d’accordo sul fatto che le faccine siano un elemento importante per comprendere meglio gli altri, oltre che creare unità e rispetto.
«La personalizzazione delle emoji per aspetti come il colore della pelle ha sicuramente reso questo strumento più inclusivo. Si tratta di uno sviluppo dal successo indiscutibile, ma le persone vogliono di più: per riflettere al meglio il proprio aspetto, desiderano alcune opzioni di personalizzazione come il taglio o il colore di capelli, gli accessori, la corporatura e il colore degli occhi» scrive Paul Hunt, typeface designer e font developer in Adobe, nel suo post e conclude «Forse la mia visione di questi piccoli personaggi pixellati è davvero troppo ottimista, ma spero che rendendo più inclusivi i nostri sistemi di comunicazione interpersonale, potremo vederci e comprenderci meglio, empatizzare di più gli uni con le altre e creare una cultura maggiormente basata sulla cooperazione, che dia valore alla forza derivante dal vivere nuove esperienze e ascoltare nuove voci».